Dare vita ai luoghi remoti
La ripresa della vita in luoghi remoti è uno dei tanti temi estivi su cui scrive Elle nel suo numero di fine Giugno. Gli inglesi sono imbattibili nell’inventare questi luoghi: un altrove in cui le cose si mescolano in una forbita eleganza. Come Chatwin in Patagonia, tra i coloni gallesi che versano il te in stanze piene di ninnoli e nessun suono nel cammino tranne quello del vento, o come lady McAlpine sulla punta del Salento, in quello che fu il convento di Santa Maria di Costantinopoli, dove, tra vetrate dipinte di Madras e tappeti berberi, ha raccolto il mondo per i suoi ospiti. Noi italiani stiamo imparando. Stiamo diventando davvero bravi. Tanti piccoli luoghi autentici e amministrati con cura, di remota bellezza. Luoghi che parlano dell’oggi, di quel che davvero ci serve per riprenderci: vastità e bellezza. D’altra parte non abbiamo solo talento, ma un’antica intelligenza delle cose, quando ce ne ricordiamo e riusciamo a schivare la banalità dell’ombrellone e dell’apericena, banalità utili e che fanno parte di noi, che tutti frequentiamo, ma “che quando le schiviamo” allora diamo il meglio e riusciamo a produrre una bellezza serena, un po’ vicina e un po’ distante, con qualche tratto di incompiuto. La bellezza come deve essere, come diceva secoli fa, quel gran genio multiforme di Giovanni Pico, conte della Mirandola: Niuna cosa semplice può essere bella. Di che segue che in Dio non sia bellezza perché la bellezza include in sé qualche imperfezione … Dopo Lui comincia la bellezza, perché comincia la contrarietà. (Commento sopra una canzone d’amore, 1486).
Articolo © Giovanni Lanzone
Foto © Matteo Pinoli