Le anguille: il primo cold case

In ambito scientifico esistono concetti noti dalla notte dei tempi, altri invece che pur essendo sotto ai nostri occhi, rimangono sconosciuti. Guardiamo ma non vediamo. Uno dei più antichi cold case della storia, almeno fino a primi del ’900, era proprio il ciclo di vita delle anguille.

Il primo a farsi domande su come le anguille si riproducessero fu addirittura Aristotele, ne dissezionò un buon numero e con sua massima sorpresa non trovò alcun organo sessuale, così giunse alla logica conclusione che le anguille nascessero spontaneamente (e poeticamente) dal fango dei fiumi e dei mari nei quali nuotavano. Anche Freud, intrigato dai temi della riproduzione, ritentò l’esperimento, facendo solo un gran buco nell’acqua. Oggi sappiamo la verità, o almeno ne conosciamo un pezzo. Nei primi del ‘900 il biologo danese Schmidt si rese conto che non esistevano anguille appena nate nell’Atlantico e, per trovare anguille di dimensioni più piccole, era necessario spostarsi a ovest. Scoprì così che nel corso della loro vita, le anguille – che possono vivere fino a 85 anni di età – passano attraverso quattro stadi di metamorfosi: minuscole larve, anguille di vetro, anguille gialle ed infine anguille d’argento.

E oggi sappiamo una sconcertante verità, che tutte le anguille del mondo, qualsiasi sia il luogo in cui scelgono di spendere la propria vita, provengono dalla stessa parte del mondo, nascono tutte da un unico posto nel Mare dei Sargassi. Ogni anguilla arriva a maturazione in un momento diverso, può essere dopo qualche anno di vita o anche dopo decenni. Nel lungo viaggio che le riporta a dove sono nate, le anguille sviluppano gli organi riproduttivi. Non esistono infatti anguille nate in cattività.

Ma perché proprio nel Mare dei Sargassi? Per una questione di salinità, di temperatura, di latitudine? Non abbiamo ancora le risposte e non sappiamo quando gli scienziati ne verranno a capo. Crediamo però che questo sia il fascino e la seduzione della scienza: osservare con pazienza e talvolta cambiare il punto d’osservazione, saper leggere i segnali che la natura, la chimica, la fisica, non smettono mai di inviarci.